SCCass (Italia) 9 octubre 2023
Numero
3
Sistemas jurídicos comentando
Italia, Francia, España
[ITALIA] Comentario de la Sentencia de la Corte di Cassazione italiana n. 28221 de 9 octubre 2023
Autonomia testamentaria, successione legittima e
incapacità di succedere come istituto di ordine pubblico
MAURO TESCARO
Università di Verona
La sentenza indicata in epigrafe concerne un caso tanto interessante quanto intricato, come dimostrato tra l’altro dalla decisione della Cassazione di compensare le spese di lite per la complessità dei temi dibattuti e per l’assenza di precedenti sulle questioni affrontate. Semplificando il più possibile al fine di considerare i soli elementi di fatto decisivi per i problemi di diritto successorio sui quali ci soffermeremo, accade quanto segue. Una signora muore nel 1875 lasciando un testamento con il quale dispone del suo patrimonio immobiliare in favore di un costituendo orfanotrofio femminile, effettivamente istituito pochi mesi dopo in quello stesso anno. Il testamento sottopone però l’attribuzione degli immobili all’orfanotrofio alla condizione risolutiva dell’effettivo perseguimento delle originarie finalità benefiche, precisando che, in caso di soppressione, alterazione o cambiamento di destinazione dell’ente, gli immobili sarebbero stati devoluti, anche in tempo remoto, agli eredi legittimi della testatrice. Evidentemente, vi è l’intenzione di creare un vincolo sine die, favorendo l’orfanotrofio ma solo finché esso rimanga operativo secondo le originarie finalità e in caso contrario devolvendo il patrimonio immobiliare a parenti anche lontani. Sembra che l’orfanotrofio svolga regolarmente le sue attività fino al 2004, quando sono invece introdotti significativi mutamenti anche di statuto ed è nominato dalla competente Regione un commissario straordinario, arrivandosi nel 2010 all’attivazione della procedura amministrativa per l’estinzione dell’ente. Di fronte a tale situazione, nel 2004 un (preteso, essendo in realtà contestata la dimostrazione del relativo status) parente di settimo grado della defunta, nato più di mezzo secolo dopo l’apertura della successione (nel 1929) da un genitore parente della defunta a sua volta nato vari anni dopo l’apertura della successione (nel 1889), agisce in giudizio per sentirsi dichiarare erede e conseguentemente proprietario degli immobili inizialmente attribuiti all’orfanotrofio, per avveramento della summenzionata condizione risolutiva.
Il giudice di primo grado accoglie senz’altro la pretesa attorea. Il secondo grado di giudizio, invece, si conclude con l’assegnazione dei beni ereditari allo Stato ex art. 586, attesa la mancanza di parenti entro il sesto grado. Nel terzo e ultimo grado di giudizio, la Cassazione conferma la sentenza di appello e quindi la citata assegnazione allo Stato sia pure rettificandone la motivazione, che risulta piuttosto incentrata sulla incapacità a succedere del parente di settimo grado.
Per la soluzione del caso alla luce del diritto italiano sono essenziali due questioni: (i) quella, posta al centro della sentenza in commento, dei limiti alla libertà testamentaria con particolare riguardo alle esigenze di ordine pubblico sottese alla disciplina della incapacità a succedere; (ii) quella, solo accennata nella sentenza ma a sua volta decisiva, di come si perfeziona l’acquisto dello Stato in veste di erede. Emergono anche altre due rimarchevoli questioni di diritto successorio, che rimangono peraltro solo sullo sfondo della controversia, risultando entrambe irrilevanti per la decisione della stessa: (iii) quella del trattamento da riservare all’atto di ultima volontà che istituisca gli eredi legittimi del testatore; (iv) quella dei gradi di parentela rilevanti nella successione legittima.
Orbene, il Codice civile italiano del 1865, vigente al tempo della morte della testatrice, prevedeva l’incapacità di succedere (i) di «coloro che al tempo dell’apertura della successione non siano ancora concepiti» e di «coloro che non sono nati vitali» (art. 724, 1° co.), aggiungendo che «possono però ricevere per testamento i figli immediati di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, quantunque non siano ancora concepiti» (art. 764, 2° co.). Il Codice civile italiano del 1942, ancora oggi vigente, contiene una disciplina assai simile a quella appena rammentata (art. 462), salvo l’omesso riferimento ai «nati vitali». Secondo la Cassazione, da tali previsioni, dirette a contemplare ipotesi tassative di incapacità giuridica assoluta, discende da un lato la radicale inefficacia (rectius, nullità per contrarietà all’ordine pubblico) di disposizioni testamentarie in favore di un incapace a succedere e dall’altro l’impossibilità di costui di succedere per legge, anche qualora si avveri una condizione risolutiva apposta alla prima istituzione di erede, in quanto in siffatta eventualità il chiamato successivo è comunque considerato erede dal momento di apertura della successione (art. 459) e dunque già da tale momento deve avere la relativa capacità.
Lo stesso vale per la rappresentazione, istituto importante e dettagliatamente regolato dalla legge italiana, sia nel Codice attuale (artt. 467-469) sia in quello previgente (artt. 729-735), la quale però può a sua volta operare solo a favore di chi sia capace di succedere nel momento di apertura della successione.
Ne deriva che chi intenda chiamare all’eredità (anche solo in subordine rispetto ad altri) propri parenti può istituire tra loro solo quelli che siano già nati o concepiti al tempo dell’apertura della successione oppure non ancora concepiti ma figli di altri parenti in vita in tale tempo. Per la decisione della lite in esame, diviene pertanto irrilevante verificare se si tratti di una successione testamentaria o legittima, così come se si applichi il Codice civile del 1865 o quello del 1942, perché comunque nel momento dell’apertura della successione mancava la capacità di succedere in capo al parente di settimo grado che agisce in giudizio per vedere accertata la sua qualità di erede.
La disciplina italiana dell’incapacità di succedere, nella misura in cui mira a impedire che il testatore possa imporre vincoli alla destinazione e alla circolazione dei suoi beni incondizionatamente e senza limitazioni di tempo, persegue una esigenza fondamentale dell’ordinamento giuridico ed è dunque di ordine pubblico. Questa affermazione è la più significativa della sentenza in esame, non constando che essa fosse mai stata formulata così chiaramente dalla precedente giurisprudenza. La sentenza concerne un caso puramente domestico e dunque parla di ordine pubblico senza ulteriori aggettivazioni, riferendosi a quello interno, ma non è escluso che, in una fattispecie presentante elementi di estraneità, il medesimo profilo possa rilevare anche con riguardo all’ordine pubblico internazionale di cui all’art. 64, lett. g, della l. n. 218 del 1995 e di cui a varie previsioni del regolamento UE n. 640 del 2012 (artt. 35, 40, lett. a, 59, par. 1, 60, par. 3, e 61, par. 3), sebbene applicandosi quest’ultimo provvedimento venga in rilievo una nozione di ordine pubblico internazionale (rectius, europeo) che il riferimento letterale alla sola manifesta incompatibilità (e non a qualsiasi incompatibilità) rende meno ampia di quella tradizionale italiana.
La Cassazione conferma quindi l’acquisto dell’eredità da parte dello Stato (ii), allineandosi alla conclusione già raggiunta dal giudice di appello. Tale istituto è nel diritto italiano troppo succintamente regolato (art. 586; di recente, una ulteriore disciplina di dettaglio è stata introdotta dai commi 1008 e 1009 dell’art. 1 della l. n. 178 del 2020 e dal d.m. n. 128 del 2022, con esiti comunque non pienamente soddisfacenti) e suscita varie questioni controverse.
Se da un lato la tesi da tempo dominante, e consolidata in giurisprudenza, è che lo Stato italiano acquista le eredità vacanti in veste di ultimo erede, non iure imperii come avviene per esempio in Francia, rimane dall’altro lato problematico soprattutto stabilire quando e come la fattispecie in discorso si perfeziona. A prima vista, l’art. 586, secondo cui «l’acquisto si opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinuncia», può far pensare a un acquisto immediato e automatico, come talvolta si afferma esplicitamente in dottrina. Vicende come quella in esame rendono però evidente che il citato automatismo non può concretamente verificarsi e che serve un qualche atto che formalizzi la veste ereditaria del potere pubblico, come confermato anche dall’indagine comparatistica. Pertanto, nell’attesa che auspicabilmente sia introdotta anche in Italia una riforma del tipo di quella spagnola del 2015 che renda la procedura puramente amministrativa, secondo l’opinione dello scrivente, al fine di completare la fattispecie complessa a formazione progressiva di cui all’art. 586, è sempre necessario un provvedimento giudiziale, proprio come avvenuto nel caso di specie.
Sia pure solo sullo sfondo della controversia in esame, per la soluzione della quale non è essenziale, emerge poi la questione del trattamento da riservare al testamento nel quale il de cuius istituisca eredi i propri successibili legittimi (iii), questione che può essere assai delicata, per esempio, ma non solo, qualora intervengano riforme che modifichino l’ambito di tali successibili, come accaduto anche nel diritto italiano che è passato dal decimo grado di parentela del Codice civile del 1865 (art. 742, 2° co.) al sesto del Codice civile del 1942 (art. 572, 2° co.).
In favore della tesi secondo cui si tratterebbe di successione legittima potrebbe addursi una pretesa preminenza di valore della stessa su quella testamentaria, che però la dottrina italiana da tempo tende a negare. Poiché il carattere solo sussidiario della successione legittima è positivamente sancito (art. 457, 2° co.), in presenza di un testamento di tal fatta dovrebbe allora avere luogo la successione testamentaria. In questa prospettiva, si tende ad affermare che, qualora sopravvenga una modifica legislativa dell’ambito dei successibili, deve continuarsi a fare riferimento, per il tramite dell’atto di ultima volontà, alla disciplina vigente al tempo della redazione dello stesso. Non manca peraltro chi ritiene che, in applicazione analogica dell’art. 1367, nel dubbio sia invece da adottare l’interpretazione del testamento che conduce al massimo risultato utile, prospettiva questa che si ritiene possa condurre a preferire la disciplina vigente al tempo dell’apertura della successione.
Se al centro della vicenda rimane comunque la volontà testamentaria, la quale va desunta dall’atto di ultima volontà ma senza necessariamente fermarsi al suo tenore letterale, non dovrebbe radicalmente escludersi che, in un certo caso di specie, alla luce dei vari elementi interpretativi nello stesso eventualmente reperibili, l’istituzione da parte del testatore dei suoi eredi legittimi concerna in realtà ogni possibile parente, anche oltre qualsiasi limite legale.
Qualora peraltro il riferimento compiuto dal testatore alla successione legittima vada oltre i limiti di una semplice relatio c.d. formale, nella quale la volontà testamentaria rimane fondamentale salvo il richiamo alla legge per la sola determinazione dei soggetti e/o dell’oggetto, e si traduca invece in un rinvio all’intero regolamento della successione contemplato dalla legge (relatio c.d. sostanziale), secondo la tesi che pare più persuasiva il testamento risulterebbe intrinsecamente contradittorio (essendo illogico scegliere la successione testamentaria e, al tempo stesso, interamente la successione legittima) e quindi nullo in quanto insuscettibile di produrre effetti, avendo pertanto luogo la successione legittima nella disciplina in vigore al tempo della morte del de cuius.
Tutto ciò considerato, nel caso di specie, se non vi fosse stato il dirimente problema della mancanza di capacità a succedere, in nessun modo si sarebbe potuto fare riferimento alla disciplina della successione legittima in vigore al tempo dell’avveramento della condizione risolutiva (cioè del mutamento di destinazione dell’ente) e quindi escludere la chiamata ereditaria del parente di settimo grado sulla base del limite del sesto grado introdotto dal Codice civile del 1942.
Con più generale riguardo proprio alla questione, sia pure – vale la pena di ripetere – irrilevante per la decisione della lite in esame, del grado di parentela entro cui si può succedere per legge (iv), il diritto italiano, come già rammentato, è passato dal decimo al sesto grado e non mancano opinioni dottrinali che da tempo caldeggiano una ulteriore limitazione. Sembra che in questo stesso senso vada una più ampia tendenza internazionale, sebbene le soluzioni dei vari Paesi anche solo europei rimangano diversificate, come dimostrato, per limitarsi a un solo esempio, dal diritto tedesco, nel quale è ancora oggi prevista una successione illimitata dei parenti. In quest’ultimo modo si restringe l’ambito di applicazione della successione del potere pubblico e al tempo stesso si amplia la possibilità di intervento dei c.d. cacciatori di eredità, professionisti sempre più diffusi non solo in Italia che propongono a chiamati i quali ancora non sanno di esserlo la stipula di un contratto oneroso di rivelazione di segreto successorio, dal punto di vista italiano atipico ma in linea di principio valido ed efficace. A sostegno di discipline come quella tedesca può addursi l’opportunità di favorire il più possibile la famiglia, sia pure intesa in senso molto ampio. D’altra parte, i critici di simili discipline considerano discutibile e quantomeno de iure condendo da evitare il fenomeno del c.d. erede ridente, cioè del familiare lontano che ride in quanto, non avendo avuto alcun reale rapporto con il defunto, riceve per via successoria una fortuna inattesa e forse immeritata. Nonostante la diversa opinione di molti studiosi, il diritto italiano attualmente vigente, con il suo limite del sesto grado di parentela, sembra allo scrivente contemperare gli interessi della famiglia in senso ampio e del potere pubblico in modo tutto sommato ancora equilibrato.
In conclusione, la sentenza qui commentata conferma due caratteristiche generali del diritto successorio non solo italiano. In primo luogo, tale diritto integra un complesso macchinario composto di molti ingranaggi di diversa consistenza che debbono però essere sempre coordinati tra loro affinché il macchinario stesso possa effettivamente funzionare. In secondo luogo, nella nostra materia più che in altre, si instaurano sovente controversie su fatti risalenti (anche se raramente così risalenti come nel caso in esame, in cui fino al 2023 si è litigato su una successione apertasi nel 1875), ciò che aumenta l’importanza degli strumenti giuridici (in questo caso, l’incapacità di succedere) in vario modo diretti a limitare la possibilità di risalire troppo indietro nel tempo.
[FRANCIA] Comentario de la Sentencia de la Corte di Cassazione italiana n. 28221 de 9 octubre 2023
Pour les siècles des siècles ?
À propos de l’inexécution d’un legs avec charge de 150 ans d’âge
JÉRÉMY HOUSSIER
Université de Reims
L’espèce: En 1875, une femme lègue l’ensemble de ses biens immobiliers aux Sœurs de la Charité de Saint Vincent de Paul, à charge pour celles-ci d'édifier et de faire fonctionner un orphelinat. Soucieuse de l’exécution de ses dernières volontés, cette femme assortit son legs d'une clause résolutoire exigeant, «dans le cas où l'orphelinat serait – pour une raison quelconque – fermé ou sa destination modifiée, [que] ses biens [soient] restitués – même en des temps lointains – à ses héritiers légitimes» (§1). À l’aube du XXIe s., l’orphelinat rencontre hélas de fortes difficultés financières, amenant les autorités locales à envisager sa dissolution. Les descendants de la testatrice se manifestent à cet instant en sollicitant la révocation du legs et la transmission des biens immobiliers légués à leur bénéfice, suivant les volontés de leur lointaine aïeule. Saisi du dossier, le Tribunal de Campobasso fait partiellement droit à leurs demandes, prononce la dissolution de l'orphelinat tout en attribuant la pleine propriété des biens à l'un des descendants de la testatrice. En appel, la Cour d’appel de Campobasso infirme ce jugement et juge que «les biens devaient être attribués à l'État en l'absence de parents de la testatrice jusqu'au sixième degré», dans la mesure où «la volonté exprimée dans le testament ne pouvait prévaloir sur la réglementation des successions légitimes», limitant le droit de succéder au 6edegré successible (C. civ. italien, art. 572, al. 2). Solution confirmée par la Cour de cassation italienne, mais par substitution de motifs :
«Ciò posto, occorre interrogarsi se e entro che limiti la testatrice potesse disporre in favore di successibili non nominativamente identificati e se il ricorrente potesse, quale erede legittimo, avanzare pretese sui cespiti facenti parte dell’asse ereditario, alla stregua della disciplina in tema di incapacità a succedere.
Nel regime successorio vigente al momento della morte della disponente (art. 724 del codice civile del 1865), la capacità di succedere per legge competeva solo ai soggetti già concepiti al momento dell‘apertura della successione (e che fossero anche nati vitali); i non concepiti potevano ricevere solo per testamento, purché a tale data figli immediati di una persona vivente (art. 764 c.c.).
L’attuale art. 462, comma terzo, c.c. contiene disposizioni di analogo contenuto (ma non richiede il requisito della nascita vitale), contemplando – al pari del codice del 1865 - tassative ipotesi di incapacità giuridica assoluta.
Da tali previsioni conseguivano (e conseguono tuttora, anche nella disciplina vigente) la radicale inefficacia di un’eventuale disposizione testamentaria a favore dell’incapace e l’impossibilità di questi di succedere per legge anche in caso di avveramento della condizione risolutiva apposta alla prima chiamata, poiché, in tal caso, l’ulteriore chiamato è considerato erede fino dal momento dell’apertura della successione, dovendo, già a tale data, possedere la capacità di succedere (restando esclusi anche gli effetti della rappresentazione la quale, già nel precedente codice civile, per la sua collocazione nella sezione II, Capo I, titolo I del libro III, costituiva una forma di successione ex lege invocabile solo a favore di chi avesse la capacità a succedere: cfr., per l’analogo principio nella vigenza dell’attuale codice, Cass. 4321/2012).
Le norme sull’incapacità mirano ad impedire che il testatore possa incondizionatamente e senza limitazioni di tempo imporre vincoli alla destinazione e alla circolazione dei beni, in contrasto con esigenze di ordine pubblico.
Il complesso delle censure, volto a far valere la posizione di erede legittimo del ricorrente quale chiamato in tempo remoto all’eredità, omette inammissibilmente di affrontare questo primo indefettibile presupposto per la validità della asserita devoluzione ereditaria ed anzi espone circostanze di fatto che ne attestano inequivocabilmente l’insussistenza.
3.2. Deve infatti ritenersi, in applicazione della normativa di cui agli articoli dianzi citati, del tutto elusa dal ricorso, che la una volta determinatasi a devolvere l’eredità – relativamente agli immobili – ai propri parenti, potesse designare solo coloro che, all’interno di tale cerchia, fossero già nati al momento dell’apertura della successione o che, sebbene non concepiti, fossero figli di parenti della disponente, in vita al momento dell’apertura della successione.
Di nessuna di tali condizioni può legittimamente avvalersi il ricorrente.
Occorre muovere dalle indicazioni che si traggono dal ricorso – pag. 39 - ove, nel ricostruire i rapporti di parentela con la de cuius, è precisato che la era morta il 30.4.1875 senza lasciare figli e che il ricorrente era nato solo nel 1929 ed era figlio di Francesco nato nel 1889.
La successione si era, dunque, aperta allorquando Eugenio non era ancora nato, non era concepito e non poteva succedere ab intestato; agli effetti della capacità di succedere per testamento, non era figlio di persona - legata da vincoli di parentela con la de cuius- che fosse già in vita al momento dell’apertura della successione, avvenuta nel 1875, dato che il padre, Francesco era nato nel 1889 (cfr. ricorso, pag. 39).
Era quindi irrilevante accertare se, come si deduce in ricorso, la successione dovesse intendersi – ad ogni effetto - regolata dal testamento o dalla legge, né occorreva stabilire se la delazione competesse ai parenti entro il sesto o il decimo grado (o anche a prescindere dal grado di parentela) secondo le disposizioni della successione legittima del codice del 1865 o di quello in vigore, e se il legame di discendenza emergesse dai documenti acquisiti o dalle indagini del c.t.u., poiché il non avendo la capacità di succedere, non poteva e non può in alcun caso coltivare aspettative successorie sugli immobili facenti parte dell’eredità oggetto di causa.
Avendo respinto la domanda del ricorrente, la sentenza impugnata è, pertanto, conforme a diritto nel dispositivo e non può essere cassata, dovendosi esclusivamente rettificare – nei suddetti termini - la motivazione ai sensi dell’art. 384, comma quarto, c.p.c.».
Observations: L’arrêt annoté illustrera magistralement les différences de point de vue distinguant les droits italien et français s’agissant de la force obligatoire à conférer aux charges grevant certaines libéralités. Au cœur de cette affaire, toute la difficulté était de savoir s’il convenait de donner ou non effet à la désignation par une testatrice de ses «héritiers légitimes» comme légataires de second rang, en cas d’inexécution d’une charge grevant l’un de ses legs.
Plus précisément, la difficulté était de savoir, selon les Hauts magistrats saisis du dossier, «si et dans quelle mesure la testatrice pouvait [ou non] disposer en faveur de successeurs non nommément identifiés» au moment de la rédaction de son testament (§3.1), et corrélativement, si l’un de ces successeurs «pouvait [ou non] faire valoir des droits sur les biens faisant partie de sa succession» (§3.1). Autrement dit, il s’agissant de se demander si, d’abord, un testateur était en droit de désigner comme légataire de second rang un «héritier légitime» non nommément identifié et non encore né ou conçu au jour de l’ouverture de sa succession, et par reflet, si cet héritier était ensuite en droit d’exiger l’exécution dudit legs en cas de révocation de celui-ci pour inexécution.
Or, sur ce point, le Code civil italien était tout à fait formel en 1875 comme il l’était encore en 2023. Comme le soulignent en effet les Hauts magistrats, seules les personnes nées ou conçues au jour de l’ouverture de la succession de la testatrice étaient en droit de succéder en 1875 (C. civ. italien de 1865, art. 724), sauf pour les personnes non encore nées ou conçues à prouver leur statut de descendant direct (au 1er degré) d’un héritier du défunt, vivant à cette date (C. civ. italien de 1865, art. 764) (§3.1). L’actuel article 462 du Code civil italien énonce d’ailleurs la même règle, en considérant, en son alinéa 1er, que «sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione» (comp. C. civ. français, art. 906), avant de préciser, en son alinéa 3, que «possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti». C’est pourquoi il convenait de considérer, selon les Hauts magistrats, que «lorsque la testatrice avait décidé de transmettre sa succession», celle-ci n’avait pu le faire qu’au profit de ceux qui, dans le cercle de ses héritiers légitimes, étaient nés ou conçus au moment de l'ouverture de sa succession, ou qui, non encore conçus, étaient descendants directs (au 1er degré) de ses héritiers légitimes en vie au moment de l'ouverture de sa succession (§3.2).
Autrement dit, la désignation de ses «héritiers légitimes» par la testatrice nécessitait de se référer, selon la Cour de cassation, aux règles de la dévolution légale italienne afin de les identifier, et donc de se référer –entre autres règles– à celles de la capacité, exigeant d’être né, conçu ou d’être descendant direct (au 1er degré) d’un héritier vivant du défunt au jour de l’ouverture de la succession, afin de succéder (C. civ. italien, art. 764 ancien et 462 nouveau).
Raisonnement assurément défendable, certes, mais assurément discutable, aussi, eu égard à l’indifférence ici témoignée envers l’originalité du litige, à savoir la révocation d’une libéralité de… 150 ans d’âge! Car sur ce point, l’on pourra légitimement s’interroger sur le fait de savoir si, par égard aux dernières volontés de la testatrice, les termes «héritiers légitimes» utilisés par elle n’auraient pu être interprétés par les magistrats – au visa de l’article 625, al. 1er du Code civil italien – comme désignant largement ses «descendants», et si partant les règles de la dévolution légale ici privilégiée, dont celle de la nécessaire existence de l’héritier lors de l’ouverture de la succession (C. civ. italien, art. 764 ancien et 462 nouveau), n’auraient pu être écartées in casu. Les termes mêmes du testament (sous un certain angle ambigus), comme l’originalité de la cause (s’étirant sur 150 ans), l’auraient certainement justifié, même s’il est vrai, comme le souligne la Cour de cassation, que «les règles d'incapacité visent à empêcher que le testateur puisse, de manière inconditionnelle et sans limitation dans le temps, imposer des restrictions à la destination et à la circulation des biens, contraires aux nécessités de l'ordre public» (§3.1).
Cela étant, ce raisonnement aurait-il prospéré en France? On pourrait en douter, pour au moins deux raisons.
Première raison, d’abord, le présent litige aurait certainement été réglé, de ce côté-ci des Alpes, via les articles 900-2 et suivants du Code civil français. Selon ces textes, en effet, «tout gratifié peut demander que soient révisées en justice les conditions et charges grevant les donations ou legs qu'il a reçus, lorsque, par suite d'un changement de circonstances, l'exécution en est devenue pour lui soit extrêmement difficile, soit sérieusement dommageable» (C. civ. français, art. 900-2 ; comp. C. civ. italien, art. 673, al. 2). Or en ce cas, «le juge saisi de la demande en révision peut […] soit réduire en quantité ou périodicité les prestations grevant la libéralité, soit en modifier l'objet en s'inspirant de l'intention du disposant, soit même les regrouper, avec des prestations analogues résultant d'autres libéralités», voire, en dernière intention, «autoriser l'aliénation de tout ou partie des biens faisant l'objet de la libéralité en ordonnant que le prix en sera employé à des fins en rapport avec la volonté du disposant» (C. civ. français, art. 900-4). Le droit français, à la différence du droit italien, admet donc largement la révision des charges grevant les libéralités, sous réserve néanmoins pour le gratifié de prouver l’existence d’un «changement de circonstances» rendant l'exécution de sa charge «soit extrêmement difficile, soit sérieusement dommageable», et sous réserve pour le juge de «s’inspirer de l’intention du disposant» lors de la révision de la charge. À cet égard, ce litige aurait certainement connu ce dénouement: l’ordre religieux aurait sollicité la révision de la charge, le juge l’aurait admise, et les biens immobiliers auraient été vendus et leur prix réaffecté à la finalité initiale du legs, nonobstant la clause résolutoire insérée dans ce legs, le régime de la révision des charges étant considéré comme d’ordre public par la doctrine française, et donc à même de faire échec à toute clause contraire.
Seconde raison, ensuite, une discussion autour de la capacité même de recevoir du descendant aurait certainement été admise de ce même côté des Alpes. Car on le concèdera, la décision de la Cour de cassation italienne interroge sur un point, à savoir celui –nous l’avons dit– de l’absence d’égard envers la date d’inexécution de la charge litigieuse. Car comment soumettre en toute cohérence une libéralité consentie en 1875 et inexécutée au XXIe s. à la condition d’existence du légataire désigné dans le testament litigieux 150 ans plus tôt? C’est ici condamner, fatalement, toute désignation d’un légataire de second à rang en cas de charge destinée à s’exécuter sur de nombreuses années, et condamner ce faisant la force même des charges grevant les libéralités. Or cela est-il bien conforme à la force obligatoire comme à la force morale à reconnaître à ces charges ? On en doutera, et peut-être aurait-il été toléré, en France, de se placer au jour de la révocation pour inexécution de la charge afin d’identifier les «héritiers légitimes» de la testatrice, fussent-ils non nommément désignés dans le testament en 1875, et fussent-ils non encore nés ou conçus au jour de l’ouverture de la succession (pro : C. civ. français, art. 1048, admettant la désignation, dans une libéralité successive (graduelle ou résiduelle), d’un second gratifié non encore né ou conçu; contra: art. 906, fulminant, comme en droit italien, la condition d’existence du légataire au jour de l’ouverture de la succession). Car là était le seul moyen d’honorer les dernières (et légitimes) volontés de la testatrice, et d’honorer, plus largement, la force obligatoire et morale à reconnaître aux libéralités avec charge. Chacun jugera!
En preparación...
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